Mi piacerebbe molto prendere un bambino in affido, ma sono single. È possibile intraprendere questa forma di accoglienza? Posso anche accogliere un bambino piccolo? Queste sono alcune delle domande che ci troviamo a rispondere.
La legge 184/83, con le successive modifiche con la legge 149/01, indica come possibili affidatari oltre ad una famiglia anche persone singole purché in grado di assicurare “mantenimento, educazione, istruzione e relazioni affettive di cui ha bisogno”. La logica che la legge indica, aprendo la possibilità di accogliere a coppie sposate, con o senza figli, coppie di conviventi o persone singole, è quella della migliore risposta al bisogno del minore. Questo significa che non ci sono regole rigide per cui ad una single debbano essere affidati bambini di una specifica età. Anche i single possono essere una risorsa per un minore che sia stato allontanato dalla sua famiglia.
L’affido familiare è un gesto d’amore che fa capire che siamo chiamati a far vivere esperienze d’amore a questi bambini che prima non hanno mai vissuto.
E Lucia, una delle nostre mamme affidatarie single racconta la fatica, ma anche la gioia dell’accoglienza di Ibrahim, che ha cambiato la sua vita.
“Prima d’iniziare l’affido ho fatto volontariato in Brasile per 18 anni. Lì ho una vera e propria famiglia che ho continuato a sentire in questi anni. Questa esperienza con la cooperazione internazionale è arrivata alla conclusione con la crisi migranti; momento in cui mi sono chiesta perché fare tanti chilometri? Ho pensato di voler rendermi utile nel territorio italiano, mai avrei pensato, però, all’adozione o all’affido.
Poi il caso ha voluto che un mio vecchio amico, mi parlò di Salvo il presidente di MetaCometa. Incuriosita decido di andare a Giarre a conoscere Salvo e Linda e lì incontro 12 bambini, tra cui Ibrahim. Appena arrivato in Italia, era stato collocato in una famiglia all’età di dieci anni, già si pensava ad una adozione ma poi la famiglia ha fatto un passo indietro.
Tra me ed Ibrahim c’è stato una sorta di colpo di fulmine perché nei giorni in cui sono andata in visita a Giarre siamo stati sempre insieme. Da lì nacque tutto. Ad Ancona ho cominciato a seguire dei percorsi sull’affido e nel giro di qualche mese sono tornata a Giarre per non perdere quel legame che avevo creato con Ibrahim. Ho cominciato il percorso con il tribunale: quella era la seconda volta che un bimbo di Giarre veniva affidato ad una famiglia così lontana. I viaggi verso Giarre sono continuati fino a novembre quando poi Ibrahim è approdato ad Ancona, a casa mia.
Non è stato semplice, Ibra ha fatto di tutto per tenermi a distanza, per provocarmi, per capire se anche io, come quella prima famiglia, lo avrei abbandonato. Ci ho messo quasi un anno ad innamorarmi di lui ma forse questo rapporto esclusivo ci ha permesso di conoscerci meglio e di sceglierci a vicende.
Da mamma single è riuscito a rivoltarmi come un calzino, ha messo in discussione tutto portandomi ad iniziare un processo di guarigione lungo che ci ha portati verso l’amore.
Abbiamo vissuto insieme tante cose: l’adolescenza, l’integrazione nel tessuto sociale di Ancona, la conoscenza reciproca e il nostro scegliersi.
Essere stata sola è stato un vantaggio sia per me, per il mio percorso personale, che per lui.
Il papà di Ibra esiste ed è stata molto difficile gestire la loro relazione. La mamma invece per molti anni l’abbiamo ritenuta scomparsa e poi alla fine, con uno psicologo, ha metabolizzato la sua morte. Oggi teniamo la foto della mamma insieme alle foto dei miei genitori.
Forse anche aver trovato una mamma in Italia gli ha dato la possibilità di riequilibrare tutta la sua vita: una mamma italiana, una mamma in cielo e un papà in Costa D’Avorio.
Una mamma single fa tanta fatica ma una soluzione si trova sempre.
Ho fatto molta fatica a pensarmi mamma, in un primo momento per me questa era un’accoglienza non la creazione di una famiglia. Ibra mi ha insegnato ad essere mamma, oggi non riesco più a ricordarla una vita senza di lui.