Cosa significa fare l’educatore?

Roberta, qual è una la tua esperienza all’interno di MetaCometa?

Sono un’educatrice e da circa due anni lavoro all’interno dell’Associazione MetaCometa in una delle case di accoglienza volte ad ospitare nuclei monoparentali fragili inviati dai servizi sociali del territorio. Ciò che sicuramente ho appreso dall’esperienza fatta sino a questo momento è senza dubbio la complessità sottesa all’agire all’interno di una struttura educativa e, soprattutto, la flessibilità richiesta ad ogni figura professionale per affrontare la pluralità di situazioni che si presentano.

In particolar modo parlare di educazione e far riferimento a qualsiasi contesto ad essa collegato, sia questo formale o informale, non può che implicare la considerazione di una condizione imprescindibile all’esperienza educativa: la progettualità.

Questa rappresenta una tra le declinazioni fondamentali e al tempo stesso complesse che si inseriscono all’interno dell’agire educativo, in cui il “progetto”, come documento scritto si presenta solo come un piccolo tassello di un puzzle molto più grande.

Progettare indica infatti quella disposizione ad attivare un costante lavoro di costruzione di contesti e situazioni mediando continuamente tra quello che è l’atto educativo e il mondo delle persone, ricco di esperienze, desideri e soprattutto bisogni. Questi, in particolare, sono come delle piccole “spie” che ci raccontano un po’ di storia della persona grande o piccola che ci troviamo di fronte e, proprio per tale ragione, è fondamentale riuscire a riconoscere le necessità dei singoli per poi individuare le risposte più adeguate che possano soddisfarli. Ovviamente tutto ciò richiede tempo, tentativi e purtroppo, a volte anche degli errori.

Ci racconti dei beneficiari che incontri nel tuo servizio?

Nel mio lavoro di educatrice mi imbatto spesso in bambini, adolescenti e genitori che si portano in spalla, a volte anche senza saperlo, un bagaglio di bisogni che ad intermittenza lampeggiano in attesa di essere accolti.

È qui che si manifesta la problematicità della progettazione: riuscire ad individuare una strada giusta fatta di tanti obiettivi che, come tappe, segnano un percorso che possa soddisfare quelle necessità ed aiutare la persona a divenire sempre più autonoma nel proprio processo di realizzazione personale e sociale. 

Secondo te il ruolo di educatrice è un ruolo solitario?

Non sempre l’educatore basta a sé stesso in questo arduo compito ma deve essere affiancato da un gruppo di professionisti che, come lui, ruotano intorno al bambino o alla mamma che si trova in una situazione di difficoltà. Ciò che fa la differenza è quindi la possibilità di osservare quegli stessi soggetti su più dimensioni e con prospettive diverse che vanno poi ad integrarsi e a fornire la visione migliore dell’altro che ci si pone di fronte.

In questo senso all’interno del lavoro educativo risulta essenziale il lavoro di rete dalle prime fasi di osservazione dei singoli bisogni, all’identificazione di quelli che sono gli obiettivi, dal monitoraggio dei progressi fatti fino alla valutazione finale. 

All’interno del lavoro che mi trovo a svolgere ogni giorno, accanto al supporto dell’equipe di riferimento, è fondamentale quindi il confronto con i servizi sociali del territorio, con le scuole, con le istituzioni sanitarie e con tutte quelle agenzie che si inseriscono nel tessuto sociale della vita di tutti i giorni. Interconnettendo tutti i vari ambiti di intervento è possibile così sviluppare un progetto di vita per il soggetto che si trova a manifestare dei bisogni educativi speciali. In questo senso uno strumento frequentemente utilizzato in contesti educativi è rappresentato dal PEI (piano educativo individualizzato).

Il piano educativo cosa ti permette di realizzare?

Nello specifico all’interno del mio lavoro in una casa di seconda accoglienza per donne e bambini, il PEI diventa un documento fondamentale per orientare la progettualità rivolta allo sviluppo in primis dei minori e di conseguenza dei nuclei stessi.

Partendo da un’analisi della storia e delle caratteristiche dei singoli soggetti questi vengono attenzionati rispetti ai bisogni e alle condotte ad essi correlate, organizzandole in dimensioni della qualità della vita quali la percezione del sé, la storia familiare, le relazioni con i pari  e le figure adulte, la scuola, le autonomie e così via… da qui vengono poi individuati gli obiettivi da raggiungere in un certo arco di tempo per sostenere il processo di crescita del singolo, favorendone una prospettiva di sviluppo ed autonomia. Accanto a ciò è importante inoltre prestare attenzione alla cura degli spazi, degli ambienti e in particolare anche alle tempistiche in cui la progettualità educativa si inserisce in quanto anche questi assumono centralità e una profonda influenza sulla riuscita delle attività che vengono pensate e strutturate nel contesto di riferimento. Ad accrescere la funzionalità ed il valore della progettualità è anche la qualità della relazione che si va a creare tra educatore ed educando. Si tratta di promuovere un costante lavoro di fiducia tessuto all’interno di un rapporto asimmetrico. Tuttavia è bene mantenere chiaro l’obiettivo della relazione e sfuggire a quelle situazioni in cui il coinvolgimento personale professionale può influenzare e danneggiare il percorso educativo pensato e messo in atto. Il lavoro educativo da un punto di vista relazionale si muove nella prospettiva di una prossimità manifestata con la giusta distanza dall’altro al fine di mantenere sempre uno sguardo oggettivo ed educativamente centrato.

Cosa contraddistingue il lavoro in MetaCometa?

Inoltre specificatamente per l’ambito di lavoro in cui mi inserisco quotidianamente ad avvalorare la progettualità nel tempo e nello spazio è soprattutto il mantenimento di un carisma peculiare che contraddistingue il lavoro educativo dell’Associazione MetaCometa. Si tratta infatti di promuovere nel pensiero progettuale il senso della familiarità e della casa. Ciò diventa sostanziale nella specie in situazioni in cui a causa di varie fragilità e criticità insite nei nuclei familiari di origine, i minori arrivano a perdere il senso dell’unione, di comunità e dunque i valori di collaborazione e condivisione che possono trovare massima espressione all’interno del contesto famiglia. La famiglia è infatti il primo spazio sociale sperimentato dal bambino e il luogo per eccellenza in cui si concatenano valori e progetti diversi, coniugali, genitoriali ed individuali. Uno spazio sicuro in cui poter aprirsi alla crescita personale, partendo dalla scoperta dell’altro fino ad arrivare alla scoperta di sé e di quello che è e sarà il proprio progetto di vita.

Articoli correlati